psicologia
L’armata dei sonnambuli, un capolavoro di Wu Ming
Ho appena finito di leggere questo poderoso volume di circa 800 pagine e devo dire di essere rimasto davvero colpito, in modo positivo, dall’ultimo lavoro di Wu Ming. Il libro è una miniera di informazioni davvero sorprendente per gli appassionati di storia e la trama è costruita in modo davvero attento e preciso, con una cura per i dettagli quasi maniacale. Scrivere un’opera tanto complessa e documentata non deve essere stato facile per il collettivo di scrittori che si cela dietro l’enigmatico nome di Wu Ming, ma lo sforzo è davvero riuscito a presentare una Rivoluzione Francese come non si era mai vista. Credo che non riuscirò mai più a spiegare questo fondamentale evento della storia senza fare riferimento a Scaramouche, l’eroe mascherato, ai “muschiatini” e a tutti i complotti orditi dai fedeli della monarchia contro la repubblica. Ogni personaggio trova una sua contestualizzazione puntuale e la trama cresce, all’inizio pian piano, lasciando più spazio al racconto degli eventi storici, per poi aumentare in tensione verso la fine del libro. Forse il mio personaggio preferito è il dottore mesmerista D’Amblanc ma tutti, da quelli principali ai comprimari, difficilmente potranno cancellarsi dalla mia memoria.
Il passaggio del tempo e i discorsi in spiaggia….
Ormai consolidato il fatto che il passaggio del tempo è uno dei miei temi preferiti, l’altro pomeriggio, al mare, ho ascoltato una parte di un discorso di una signora con una sua amica il cui fulcro era proprio lo scorrere del tempo…l’occasione era il compleanno della signora A, che compiva 40 anni mentre un certo ragazzo X, a quanto riportato dalla signora B, ne compiva solo 19; questo dato ha fatto si che la signora A esclamasse la solita “formuletta”: “Ah, quanto vorrei tornare indietro…vorrei proprio far cambio, io 19 e lui 40″….tutto qui, il discorso da me sentito…poi sono sprofondato nella mia musica grazie agli onnipresenti auricolari.
Ora, il discorso è senz’altro banale, ma a chi non è mai capitato di ascoltarlo o di pronunciarlo, seppur con alcune ovvie varianti? Qual è la ragione di un siffatto ragionamento? Non si è contenti della vita attuale e si vuole tornare a quella precedente, come se in quella passata i problemi fossero inesistenti? A mio avviso molti di noi, guardando al proprio passato, lo “colorano” in modo positivo, come fosse una vera e propria “età dell’oro”, senza ricordare come i vari problemi fossero pesanti nel momento in cui si dovevano affrontare. Non metto in dubbio che il passaggio degli anni porti con sé anche un aumento di responsabilità e di preoccupazioni ma per quanto mi riguarda NON vorrei tornare indietro….a parte il fatto che, ovviamente, è impossibile, ma non cambierei il mio “io di oggi” con quello di ieri…la vita è un percorso in cui ogni tappa è assolutamente necessaria per il nostro sviluppo….quello che si è fatto, quello che non si è fatto, esperienze, non-esperienze concorrono a formare il nostro io attuale che è sempre in crescita (se lo vogliamo).
Tornare indietro per “divertirsi di più”? Perché si ha paura delle rughe? Meglio vivere l’attuale guardando al passato per trarne utili suggerimenti per il futuro cercando sempre di essere contenti di ciò che si è, questa è la giusta via, secondo me.
L’uomo: creatura tra il tutto e il nulla
Il nome di questo blog riprende, come molti possono aver certo notato, il titolo dell’opera più famosa di Pascal, i cosiddetti “Pensieri” (ricordiamo che nella prospettiva del filosofo l’opera avrebbe dovuto avere come titolo “Apologia del cristianesimo”…). Che cosa sono i libri di filosofia se non “pensieri”, elaborazioni mentali strutturate su diverse tematiche, dalla logica alla teologia, dal diritto alla gnoseologia e così via?
Tra le più interessanti trattazioni filosofiche credo debbano annoverarsi quelle che riguardano l’uomo e il suo ruolo nell’universo, argomento che riguarda effettivamente ogni creatura umana, anche quella apparentemente più disinteressata. Non credo abbia molto senso vivere l’esistenza senza porsi le fatidiche domande sul perché della nostra presenza nella natura, sul nostro destino ultimo, sull’esistenza dell’anima, sull’aldilà…..essere uomini DEVE portare ad interrogarsi su queste questioni e ognuno di noi ha il compito di formulare delle risposte, pur avendo forse la certezza di non poter arrivare ad una soluzione univoca ad ogni problema.
Credo che una delle più riuscite immagini che descrivono al meglio la condizione dell’uomo nel mondo sia fornita proprio da Pascal, il quale si chiede: “Che cos’è l’uomo nella natura? Un nulla in confronto con l’infinito, un tutto in confronto al nulla, qualcosa di mezzo tra il nulla e il tutto“. E’ un’immagine estremamente efficace, quella che ci descrive come creature “mediane”, forme di vita destinate, per loro stessa natura, alla conoscenza ma anche incapaci di conoscere tutto. Esistenze incomparabilmente più grandi e complesse di una formica ma più piccole del più piccolo acaro in confronto alla totalità dell’universo!
Un universo che sempre da Pascal è descritto come una “sfera infinita il cui centro è ovunque, la circonferenza in nessun luogo“, metafora di sapore panteistico che ricorda da molto vicino Giordano Bruno e la sua filosofia.
Come porsi davanti a queste considerazioni se non con il massimo interesse? Possiamo fare a meno di confrontarci con esse? Ovviamente sì, possiamo scegliere di far finta che le domande non nascano spontaneamente dentro di noi, lasciar perdere e vivere la nostra quotidianità come se nulla fosse, come gli “oggetti tra oggetti” di heideggeriana memoria. Oppure possiamo scegliere di assumerci la responsabilità di essere veramente uomini e cercare di dare il nostro contributo alla ricerca delle soluzioni alle grandi questioni della vita…ognuno di noi nasconde una scintilla di Sapere, sta a noi portarla alla luce!
L’anima è immortale?
Sono convinto che in filosofia i ragionamenti più semplici siano al contempo anche i più efficaci per spiegare la realtà che ci circonda. Platone, nel celebre “Fedone”, elabora alcune prove per dimostrare l’immortalità dell’anima, punto fondamentale di tutto il suo pensiero.
Partendo dal ragionamento “polare”, tanto caro agli antichi greci, secondo il quale ogni cosa si genera dal suo contrario, il filosofo di Atene scrive: “e ancora c’è da osservare quanto segue. Poiché i contrari sono sempre a coppia di due, ci sono in mezzo a loro come due processi di generazione, cioè dall’uno all’altro dei contrari, e poi dall’altro al primo. Così, tra il piccolo e il grande c’è di mezzo il processo di accrescimento e anche il processo di diminuzione; e noi chiamiamo il primo crescere e il secondo diminuire”.
E ancora, poco dopo: “Io dico che esiste, da un lato, il dormire, e che, dall’altro, esiste l’essere sveglio, e che dal dormire deriva l’essere sveglio e dall’essere sveglio il dormire, e dico che i processi che li generano sono l’uno l’addormentarsi e l’altro lo svegliarsi. […] Similmente, della vita e della morte, non dici che l’essere morto è contrario all’essere vivo […] e che si generano l’uno dall’altro?”.
Per concludere, quindi, in questo modo: “si riconferma, anche per questa via, che i vivi derivano dai morti, proprio come i morti dai vivi […] prova sicura che le anime dei morti debbono esistere in qualche luogo e che da esso, poi, nuovamente rinascono”.
Il ragionamento platonico, qui inserito con alcune omissioni al testo originale, può sembrare perfino banale; ma è proprio la sua apparente semplicità a costituire, a mio avviso, il suo punto di forza. In natura non esiste nulla che non sia legato a qualcos’altro secondo un rapporto di causa-effetto e ogni “cosa” è tale in virtù del suo contrario. Senza il giorno non esisterebbe la notte, senza la notte non esisterebbe il giorno e notte e giorno si susseguono dandosi spazio a vicenda. Anche la vita non può coesistere con la morte…ma come la morte si origina dalla vita, dalla morte si rigenenerà la vita!