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Il virus. Considerazioni libere sull’epidemia da Covid-19.

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“Il virus”

Al largo della terraferma, nell’Isola invisibile, arrivò il virus. Non si annunciò in pompa magna come un sovrano del Seicento ma si fece largo tra e nelle persone attraverso strette di mano, baci, abbracci, le manifestazioni di affetto tra gli uomini, attraverso le goccioline di umidità, un’umidità fonte di vita, vita per un essere che porta la morte. Osservare gli abitanti dell’Isola invisibile dopo l’arrivo del virus è un’occupazione che in molti hanno avuto il piacere di sperimentare. E’ quel genere di attività che ti occupa il tempo quando del tempo non sai bene che fartene, sicuro che, in un qualche modo, tu sia al di fuori di quel gioco che sta mettendo in campo una moltitudine di esseri viventi. Ma che tu sia fuori del gioco o dentro il gioco stesso, capirai che il virus ha la capacità di far emergere lati nascosti delle personalità di ognuno, ha il potere di rendere visibile l’invisibile, lui, proprio lui, un nemico che non si può vedere se non con potentissimi mezzi. E quell’invisibilità resasi manifesta mostra i fili che annodano le persone al potere, un potere che si fa pervasivo, muove braccia e gambe delle persone, le costringe all’immobilità, le fa cantare inni alla Nazione e mettere bandierine sui terrazzi. Gli abitanti dell’Isola invisibile paiono riallacciare tra di loro un sentimento di appartenenza, dimenticando poi come nei momenti di ricerca di approvvigionamento nei mercati il loro sguardo si incroci con odio per la paura del contagio; dimenticando come il sentimento di appartenenza emerga solo a comando, davanti ad un match sportivo o solamente quando si deve parlare male degli altri, di coloro che vivono al di là del mare e che, in fin dei conti, hanno sicuramente portato il virus tra di loro. Ma il virus non vede bandiere, non sa di essere arrivato nell’Isola invisibile, lui, che nemmeno si può vedere ad occhio nudo. Lui vive della vita degli altri. E la distrugge. E’un nemico implacabile ma non è il primo che gli abitanti dell’Isola hanno fronteggiato. Molti di loro ricordano di aver sentito parlare dell’arrivo di altri nemici, nel passato, visibili e invisibili, come questo. Ma la maggior parte di loro ha la memoria corta. Ha bisogno di toccare con mano i dati del presente, il passato è passato, che ce ne importa? Ma anche i colori che hai messo sul balcone hanno origine nel passato, potrai dir loro. Ma cosa dici, ti diranno, quelli sono nel sangue un sangue che però ha un solo colore, lo stesso per il virus. 

E poi ci sono ancora gli altri, quelli che se anche il virus ha fatto irruzione nelle loro vite si atteggiano, nei loro comportamenti, alla massima normalità. E pretendono che tu faccia lo stesso, che tu sia il più possibile uniforme al loro pensiero. Perchè in fondo, la maggior parte delle persone che abitano l’Isola invisibile non vuole altro che la normalità, una normalità che sia norma, legge. La loro, però. Ciò che appare diverso fa loro paura e va rigettato; ciò che è minoranza spaventa e ripugna e va cancellato. E difficilmente c’è stato, tra i governanti dell’Isola, qualcuno così avveduto capace di comprendere che il destino di un popolo si evidenzia nel suo essere capace di rendere preziosa ogni minoranza. 

E intanto il virus si fa strada tra la gente, come molti suoi simili hanno fatto in precedenza e ciclicamente faranno di nuovo. Quello che colpisce, ancora una volta, è la miopia degli abitanti dell’Isola invisibile, burattini teleguidati, per lo più, da altri burattini.

Gianluca Ginnetti

Esercitazione CLIL – settimana 5

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Una riflessione in itinere

Ecco qui l’esercitazione proposta per il corso metodologico CLIL.
Avendo già aperto un blog su WordPress in passato, ho deciso di creare direttamente una pagina utilizzando lo spazio già realizzato. Il corso CLIL sta procedendo, fino ad adesso, senza grandi difficoltà. Il difficile arriverà quando sarà il momento di dedicare il tempo a mia disposizione all’organizzazione del materiale utile per il tirocinio…ma spero di riuscire a realizzare un buon modulo.

Cercare di parlare in inglese ai ragazzi della mia classe non sarà certo facile,

anche perché non ho molta pratica nella “lingua parlata” ma ad ogni modo sarà un’utile esperimento per tutti, per gli studenti e per me. In un certo qual modo professore e alunni saranno per una volta dalla stessa parte della “barricata” e si svilupperanno nuovi ed interessanti rapporti.

man in black and white polo shirt beside writing board
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Hegel e la dialettica “servo-signore”. Spunti di lettura

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Una delle pagine più famose della filosofia hegeliana è sicuramente quella che descrive il rapporto tra la figura del servo e quella del signore, spunto di partenza anche per molte riflessioni filosofiche successive.

padrone_che_batte_servoLe figure descritte da Hegel fanno la loro comparsa all’interno della “Fenomenologia dello Spirito” il cui titolo, originariamente, doveva essere la “Scienza dell’esperienza della coscienza”. Tutta l’opera, infatti, costituisce una sorta di “romanzo” che ha per protagonista la coscienza individuale e il suo cammino verso il Sapere Assoluto, un cammino dettato da precise tappe tra di loro connesse in modo necessario e organizzate secondo il famoso rapporto triadico, composto da una tesi, dalla sua antitesi e dalla sintesi che entrambe comprende.

Tutta la filosofia di Hegel pone l’accento sul necessario riconoscimento dell’alterità rispetto al sé e sul conseguente superamento della diversità nella sintesi. Anche sul piano strettamente umano, Hegel ci ricorda che:

“L’autocoscienza è in sé e per sé solo quando e in quanto è in sé e per sé per un’altra autocoscienza, cioè solo in quanto è qualcosa di riconosciuto” (p. 275). 

Gli esseri umani si riconoscono come autocoscienze solo nel momento in cui si pongono in relazione gli uni con gli altri; la specificità di ognuno è esplicitata solo nel rapporto con l’altro-da-sé, tuttavia questo reciproco “scambio” non avviene in modo immediato ma solo attraverso uno scontro tra le autocoscienze:

“Il rapporto tra le due autocoscienze, dunque, si determina come un dar prova di sé, a se stesso e all’altro, mediante la lotta per la vita e per la morte […] ed è soltanto rischiando la vita che si mette alla prova la libertà.” (p.281).

Come in una sorta di “stato di natura” di hobbesiana memoria, le due autocoscienze devono mettersi alla prova mettendo a repentaglio, pur di autoaffermarsi, la loro stessa esistenza. Solo l’autocoscienza capace di rischiare totalmente la vita potrà trovare un vero e proprio riconoscimento di sé e diventerà, nella terminologia hegeliana, un “signore”; l’autocoscienza incapace di rischiare, viceversa, non troverà un immediato riconoscimento di sé e diventerà subordinata al signore: nasce la figura del “servo”:

“Il signore si rapporta dunque mediatamente al servo attraverso l’essere autonomo […]; il servo si è rivelato non-autonomo proprio perché ha voluto avere la propria auotonomia nella cosalità. Il signore, invece, avendo dimostrato nella lotta di considerare l’essere autonomo soltanto come un negativo, è la potenza che domina su questo essere […], il signore si rapporta mediatamente alla cosa attraverso il servo […], il servo può solo trasformarla col proprio lavoro”. (pp. 283-285).

quarto-stato1Si va quindi a costituire un rapporto di sudditanza del servo rispetto alla figura del signore/padrone. Tuttavia, grazie ai tipici aspetti di rovesciamento dialettico della filosofia hegeliana, anche il servo riuscirà a trovare riconoscimento di sé proprio grazie al lavoro. E’ proprio l’attività manuale di “trasformazione della natura”, peculiare del lavoro servile, che porterà il servo a sperimentare la coscienza di sé e a sviluppare la prima forma di vera libertà, una libertà più forte di quella del signore, la cui esistenza dipende proprio dal lavoro del suo “sottoposto”:

“Il rapporto negativo verso l’oggetto diviene adesso forma dell’oggetto stesso, e diviene qualcosa di permanente, proprio perché l’oggetto ha autonomia agli occhi di chi lo elabora […]; con il lavoro, la coscienza esce fuori di sé per passare nell’elemento della permanenza […]; in effetti, formando la cosa, la coscienza vede divenire suo oggetto la propria negatività, il proprio essere-per-sé, solo perché essa rimuove la forma essente opposta” (p. 289)

“Nel lavoro, dunque, in cui essa sembrava essere solo un senso estraneo, la coscienza ritrova sé mediante se stessa e diviene senso proprio” (p. 291).

(I passi sono stati tratti dall’edizione Bompiani 2004, traduzione di Vincenzo Cicero).

“Noi”, la distopia di Zamjatin che anticipa Orwell.

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noi-volandGrazie ai suggerimenti che il mio ormai fedele “Kindle” mi propone puntualmente nella sua home page, mi sono recentemente imbattuto in una “nuova” distopia davvero molto interessante, pubblicata in inglese nel 1924  dallo scrittore russo Evugenij Ivanovic Zamjatin.

Ambientata in un non meglio precisato futuro, la storia descrive una società governata dal “Benefattore”, dove le persone si comportano tutte allo stesso modo all’interno di giornate scandite da un ferreo  e rigoroso orario da rispettare che regola le azioni di ciascuno. Uomini e donne, ormai senza nome ed identificati da sigle alfanumeriche, possono incontrarsi privatamente solo per due ore al giorno attraverso un sistema di prenotazioni con tagliandi rosa che permettono a ciascuno di accoppiarsi con la persona prenotata. La famiglia non esiste più, i figli appartengono allo stato, la libertà di pensiero e di comportamento è scomparsa. La città è inoltre cinta da un Muro oltre il quale  dovrebbe esistere solo il nulla, generato dalla disastrosa “Guerra dei duecento anni”.  Tuttavia, come si scopre ben presto, oltre al muro esistono dei sopravvissuti al conflitto che cercheranno, attraverso alcune persone a conoscenza del fatto, di rovesciare il governo del Benefattore e rivoluzionare la società.

Censurata nell’Unione Sovietica, dove venne pubblicata solo nel 1988, l’opera di Zamjatin è una chiara riflessione a toni scuri sui lati negativi interni alla Russia di inizio Novecento; i lati più deprecabili della società sovietica sono portati all’eccesso, gli uomini non godono ormai più del libero arbitrio, consegnandosi al Benefattore attraverso un’operazione in grado di eliminare dal cervello la zona deputata alla formazione della fantasia, vista come vera e principale nemica dell’ordine costituito; compito della “Grande Operazione” è infatti quello di “essere liberati dai punti di domanda che serpeggiano come vermiciattoli, rodono come tarli” in modo da massificare il più possibile tutti gli esseri umani.

Il compito del genere distopico, figlio novecentesco di quello utopico, è sicuramente quello di farci riflettere sui pericoli connessi al nostro modo di vivere. Opere come “Il mondo nuovo” di Huxley o “1984” di Orwell, senza dimenticare la recentissima “Caverna” di Saramago ci mettono in guardia, ci forniscono un monito. Purtroppo, a mio avviso, la maggior parte di questi ammonimenti non vengono presi assolutamente in considerazione dai politici che ci governano i quali, invece di far intraprendere alla società un corso diverso, sembrano spingere la stessa proprio verso i sogni distorti elaborati da questi grandi scrittori.

Internet: più conoscenza nelle persone?

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Più ci rifletto e più mi convinco…all’enorme mole di “sapere” che circola in rete corrisponde anche un maggiore aumento di  vera conoscenza nelle persone? La mia risposta è, ultimamente, negativa. Troppo spesso in discussioni di vario tipo, ogni interlocutore porta a riprova del proprio punto di vista una citazione, un articolo di qualche “esperto del settore” che puntualmente dovrebbe portare al prevalere di un certo punto di vista a discapito dell’altro. La cosa angosciante è che la rete ha fatto letteralmente proliferare gli “esperti” in ogni settore dello scibile…alcuni sono, ovviamente, veri esperti ma altri non lo sono assolutamente e credo che stia diventando sempre più difficile riuscire a selezionare le informazioni, soprattutto per le persone con scarsa educazione (ma non solo). Assistiamo così a pareri di premi Nobel su temi di economia o diritto politico decisamente antitetici (ma com’è possibile, uno si chiede…dovrebbero essere d’accordo su valori OGGETTIVI), a interpretazioni storiche di politici che selezionano i fatti nascondendo accuratamente quelli che non sono convenienti all’impostazione che vogliono portare avanti…..ma come fa un “non esperto” a muoversi in questo mare infinito di opinioni e di informazioni?!? Oppure, perché quando una posizione di un “esperto” non piace, tale impostazione viene vista subito legata ad un non meglio precisato oscuro legame all’establishment?

Certo, tale libertà di informazione può essere, giustamente, vista come una grande opportunità per lo sviluppo del pensiero critico…ma tale pensiero deve essere prima educato per poi poter essere esercitato. Io credo che l’uomo medio, oggi, non sia  più in grado di discernere, in molti casi,  il vero dal falso. Ultimamente mi è anche capitato di leggere commenti pieni di entusiasmo per la diffusione nelle edicole del “Mein Kampf“di Hitler, per finire poi a trovare ulteriori commenti che magnificano le opinioni del Führer auspicandone la ripresa. Per questa tanto sbandierata “libertà di informazione/pensiero” si è arrivati a diffondere nelle case un’opera intrisa di ignoranza, populismo, demagogia e odio quando, fino a poco tempo fa, ad essere allegate ai giornali erano enciclopedie, classici della letteratura e della filosofia, opere da avere come bagaglio rappresentativo dei lati migliori dell’umanità, non di quelli peggiori.

Come risolvere i problemi qui appena accennati? Permettendo, ovviamente, una sempre maggiore diffusione del sapere attraverso le scuole. Bisogna riprendere decisamente in mano i programmi scolastici e approfondire davvero le discipline umanistiche. Solo aumentando le ore di Storia e materie affini sarà possibile allenare le menti alla scelta…una scelta consapevole basata sulla conoscenza dei fatti, nudi e crudi, spiegati poi con l’ausilio della filosofia. In fondo era questa la visione di un filosofo oggi un po’ dimenticato, Giambattista Vico con la sua Scienza Nuova, una perfetta fusione tra la Filologia (scienza del certo) e la Filosofia (scienza del vero).

La Filosofia contempla la ragione, onde viene la scienza del vero; la Filologia osserva l’autorità dell’umano arbitrio, onde viene la coscienza del certo. (Giambattista Vico, Scienza Nuova, Sez. II, X).

Rifacciamoci ai grandi classici, apriamo più libri e meno web!!!

Kant, riflessioni da “Per la pace perpetua”

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Immanuel_Kant_(painted_portrait)Ogni singola pagina della “Zu ewigen Friede” di Kant meriterebbe una profonda riflessione, tanta è la profondità concettuale che il filosofo di Königsberg riesce ad infondere ad ogni sua frase. Copio qui, per chi avrà il piacere di leggerli, alcuni estratti che secondo me meritano di essere condivisi, soprattutto di questi tempi segnati da intolleranza e sostanziale menefreghismo del ruolo che gli uomini dovrebbero avere nel mondo. I passi sono tratti dall’edizione Feltrinelli 2003, traduzione di R.Bordiga.

Sulla libertà:

“La libertà giuridica […] non può venire definita, come pure si fa di solito, come la facoltà di “fare tutto quello che si vuole, a patto che non si faccia torto a qualcuno” […] Non si fa torto a nessuno (si faccia pure ciò che si vuole) quando non si fa torto a nessuno. Si tratta così di una vuota tautologia. La mia libertà esterna deve essere definita piuttosto in questo modo: essa è la facoltà di obbedire a nessun altra legge esterna se non a quelle leggi a cui ho potuto dare il mio consenso”. (pp.  54-55).

Sulle feste di ringraziamento dopo una guerra:

“Le feste di ringraziamento che si fanno nel corso di una guerra per una vittoria in battaglia, gli inni che vengono cantati (nella buona tradizione israelita) al Signore degli Eserciti, formano con il Padre degli uomini un contrasto non meno profondo , poiché oltre all’indifferenza (già deplorabile) rispetto al modo in cui i popoli cercano il loro reciproco diritto, aggiungono la gioia di aver distrutto la vita o la felicità di tanti uomini” (p. 64).

Sul diritto di accoglienza e di visita:

“Qui, come negli articoli precedenti, non è in discussione la filantropia, ma il diritto, e allora ospitalità significa il diritto che uno straniero ha di non essere trattato come un nemico a causa del suo arrivo sulla terra di un altro. Questi può mandarlo via , se ciò non mette a repentaglio la sua vita, ma fino a quando sta pacificamente al suo posto non si deve agire verso di lui in senso ostile. Non è un diritto di accoglienza a cui lo straniero possa appellarsi […] ma un diritto di visita, che spetta a tutti gli uomini, il diritto di offrire la loro società in virtù del diritto della proprietà comune della superficie terrestre, sulla quale, in quanto sferica, gli uomini non possono disperdersi all’infinito, ma alla fine devono sopportare di stare l’uno a fianco dell’altro” (p. 65).

Sulla diversità delle religioni:

“La diversità delle religioni: che strana espressione! Come se si parlasse anche di diverse morali. Ci possono ben essere diverse forme di fede storiche non nella religione, ma nella storia dei mezzi usati per il suo avanzamento e che rientrano nel campo dell’erudizione, e così diversi libri di religione (lo Zendavesta, i Veda, il Corano ecc.) ma ci può essere soltanto un’unica religione valida per tutti gli uomini e per tutti i tempi. Quelle credenze non possono essere altro che il veicolo della religione, che è appunto casuale e può essere differente a seconda dei luoghi e dei tempi” (pp. 77-78).

Sulla federazione di pace (foedus pacificum)

“La ragione, dall’alto del trono del supremo potere che dà le leggi morali, condanna assolutamente la guerra come procedimento giuridico e fa invece dello stato di pace un dovere immediato, che però senza un patto reciproco tra gli Stati non può essere fondato o garantito: così deve necessariamente esserci una federazione di tipo particolare, che si può chiamare federazione di pace […]. Non è cosa impossibile immaginarci la realizzabilità (la realtà oggettiva) di questa idea di federazione, che si deve estendere progressivamente a tutti gli Stati e che conduce così alla pace perpetua” (pp.62-63).

La “Buona scuola” e le scuole paritarie

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Ci stiamo sempre più avvicinando alle fasi finali del progetto “Buona scuola”, con le imminenti operazioni di trasferimento descritte nella tanto discussa legge 107/2015. Il progetto del governo, come è ormai risaputo, ha portato all’assunzione di numerosi insegnanti che da tempo “ristagnavano” nelle Graduatorie ad esaurimento (GAE) e che nel corso degli anni hanno lavorato con più o meno continuità anche grazie, come il sottoscritto, attraverso contratti di lavoro con Istituti paritari.

Ora, il complesso sistema di reclutamento degli insegnanti ha sempre previsto l’assegnazione di 12 punti annui al servizio prestato sia presso scuole statali, sia presso scuole paritarie. Non un punto in meno, non uno in più….Il punteggio così costituito è stato la base per le nomine in ruolo previste dalla legge 107 (che da questo punto di vista non pone differenze fra stato e privato). I nodi cominciano a venire al pettine solo con la mobilità che, per la prima volta nella storia della scuola italiana, che io sappia, diventa obbligatoria e coatta. E sì, perché adesso il calcolo del punteggio, valido ai fini dei trasferimenti, non tiene più in considerazione, nemmeno in parte, il punteggio prestato presso le scuole secondarie private. La cosa non ha assolutamente senso.

Mi hanno detto che il servizio non può essere considerato perché lo può essere solo quello che serve alla “ricostruzione di carriera”. Ma cosa vuol dire? Ho capito che lo Stato non vuole pagare gli “scatti di anzianità” dovuti in base agli anni prestati, in quanto chi ha lavorato nella paritaria è stato retribuito dalle private. Ma cosa c’entra tutto questo con la valutazione del servizio?  Come si può essere considerati con 0 punti di servizio, dopo 10 e passa anni prestati in una scuola che nel corso degli anni ha fatto mettere i punti nelle GAE e che ha “sfornato” diplomati in tutto e per tutto uguali ai diplomati nello Stato? E, ancora, come si possono non attribuire punti ai percorsi SSIS? Perché i sindacati non intervengono in quello che io vedo un vero e proprio “vuoto normativo”?

Mi si dirà anche che il servizio nelle paritarie non è mai stato contato per i trasferimenti…ma io rispondo a tale domanda con la semplice constatazione che, ad oggi, ogni assunto da GAE ha SEMPRE avuto la sicurezza di lavorare nella provincia di assunzione. Ora, invece, siamo stati assunti con un grosso punteggio che ci ha permesso di restare nella città espressa nella prima preferenza del piano di assunzioni straordinario e ci apprestiamo a doverci muovere in tutta Italia, perché quel punteggio non lo abbiamo più.

Sono indignato da questo sistema perverso.

Carlo Magno: un santo?

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Un complesso e documentatissimo lavoro sulla figura di Carlo e sulla creazione delle sue reliquie!

Reliquiosamente

Carlomagno: ¿un santo?                                                                                         Puedes leer este artículo en español, abriendo este enlace
carlomagno Carlo Magno era un grande collezionista di reliquie e ne era molto appassionato fin da bambino. Da adulto portava una collana con pendenti di cristallo contenenti pezzi della vera croce ed il suo famoso ‘talismano’ costituito da due zaffiri che racchiudono una ciocca di capelli della Madonna. Attualmente questo gioiello è custodito nel tesoro della cattedrale di Reims. Però non fu solo una semplice devozione. Quando il suo regno cominciò a ingrandirsi aumentando così anche il suo potere, utilizzò la religione, ed in particolare le reliquie, come elemento di unificazione del suo…

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Un appello per la filosofia

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Scorribande Filosofiche

«Si susseguono sempre più le notizie sulla possibilità che venga ridotto il ruolo dell’insegnamento della filosofia nei licei e nei corsi universitari. E’ chiaro che la SFI non può essere insensibile alle sorti della filosofia in Italia, anche in considerazione del suo essere una società che raccoglie sia docenti universitari che della scuola superiore, per cui ci sentiamo solidali con l’appello che è stato lanciato ieri da Roberto Esposito, Adriano Fabris e Giovanni Reale, che qui sotto riportiamo. Siamo convinti che la questione meriti – al di là delle specifiche motivazioni che dettano l’appello riportato – una attenta riflessione che ci proponiamo di svolgere nel prossimo futuro, seguendo con attenzione la vicenda e riservandoci di effettuare i passi che riteniamo più opportuni per una salvaguardia – ma al tempo stesso un rinnovamento – del patrimonio rappresentato dagli studi filosofici nelle scuole e nelle università italiane».

 
 

Un appello per la…

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BUON NATALE DA PASSOININDIA

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Uno spettacolare pensiero di Gandhi sul senso del Natale!

passoinIndia

christmas

Non si dovrebbe celebrare la nascita di Cristo una volta all’anno, ma ogni giorno, perché Egli rivive in ognuno di noi. Gesù è nato e vissuto invano se non abbiamo imparato da lui a regolare la nostra vita sulla legge eterna dell’amore pieno. Là dove regna senza idea di vendetta e di violenza, il Cristo è vivo. Allora potremmo dire che il Cristo non nasce soltanto un giorno all’anno: è un avvenimento costante che può avverarsi in ognuna delle nostre vite. Quando la legge suprema dell’amore sarà capita e la sua pratica sarà universale, allora Dio regnerà sulla terra come regna in cielo. Il senso della vita consiste nello stabilire il Regno di Dio sulla terra, cioè nel proporre la sostituzione di una vita egoista, astiosa, violenta e irragionevole con una vita di amore, di fraternità, di libertà, di ragione. Quando sento cantare “gloria a Dio e pace in terra…

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