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Il virus. Considerazioni libere sull’epidemia da Covid-19.

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“Il virus”

Al largo della terraferma, nell’Isola invisibile, arrivò il virus. Non si annunciò in pompa magna come un sovrano del Seicento ma si fece largo tra e nelle persone attraverso strette di mano, baci, abbracci, le manifestazioni di affetto tra gli uomini, attraverso le goccioline di umidità, un’umidità fonte di vita, vita per un essere che porta la morte. Osservare gli abitanti dell’Isola invisibile dopo l’arrivo del virus è un’occupazione che in molti hanno avuto il piacere di sperimentare. E’ quel genere di attività che ti occupa il tempo quando del tempo non sai bene che fartene, sicuro che, in un qualche modo, tu sia al di fuori di quel gioco che sta mettendo in campo una moltitudine di esseri viventi. Ma che tu sia fuori del gioco o dentro il gioco stesso, capirai che il virus ha la capacità di far emergere lati nascosti delle personalità di ognuno, ha il potere di rendere visibile l’invisibile, lui, proprio lui, un nemico che non si può vedere se non con potentissimi mezzi. E quell’invisibilità resasi manifesta mostra i fili che annodano le persone al potere, un potere che si fa pervasivo, muove braccia e gambe delle persone, le costringe all’immobilità, le fa cantare inni alla Nazione e mettere bandierine sui terrazzi. Gli abitanti dell’Isola invisibile paiono riallacciare tra di loro un sentimento di appartenenza, dimenticando poi come nei momenti di ricerca di approvvigionamento nei mercati il loro sguardo si incroci con odio per la paura del contagio; dimenticando come il sentimento di appartenenza emerga solo a comando, davanti ad un match sportivo o solamente quando si deve parlare male degli altri, di coloro che vivono al di là del mare e che, in fin dei conti, hanno sicuramente portato il virus tra di loro. Ma il virus non vede bandiere, non sa di essere arrivato nell’Isola invisibile, lui, che nemmeno si può vedere ad occhio nudo. Lui vive della vita degli altri. E la distrugge. E’un nemico implacabile ma non è il primo che gli abitanti dell’Isola hanno fronteggiato. Molti di loro ricordano di aver sentito parlare dell’arrivo di altri nemici, nel passato, visibili e invisibili, come questo. Ma la maggior parte di loro ha la memoria corta. Ha bisogno di toccare con mano i dati del presente, il passato è passato, che ce ne importa? Ma anche i colori che hai messo sul balcone hanno origine nel passato, potrai dir loro. Ma cosa dici, ti diranno, quelli sono nel sangue un sangue che però ha un solo colore, lo stesso per il virus. 

E poi ci sono ancora gli altri, quelli che se anche il virus ha fatto irruzione nelle loro vite si atteggiano, nei loro comportamenti, alla massima normalità. E pretendono che tu faccia lo stesso, che tu sia il più possibile uniforme al loro pensiero. Perchè in fondo, la maggior parte delle persone che abitano l’Isola invisibile non vuole altro che la normalità, una normalità che sia norma, legge. La loro, però. Ciò che appare diverso fa loro paura e va rigettato; ciò che è minoranza spaventa e ripugna e va cancellato. E difficilmente c’è stato, tra i governanti dell’Isola, qualcuno così avveduto capace di comprendere che il destino di un popolo si evidenzia nel suo essere capace di rendere preziosa ogni minoranza. 

E intanto il virus si fa strada tra la gente, come molti suoi simili hanno fatto in precedenza e ciclicamente faranno di nuovo. Quello che colpisce, ancora una volta, è la miopia degli abitanti dell’Isola invisibile, burattini teleguidati, per lo più, da altri burattini.

Gianluca Ginnetti

La UE deve dotarsi di un esercito?

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In questi giorni post brexit, il tema “Unione Europea” è stato portato alla ribalta su tutte le testate giornalistiche e il destino di questa istituzione è oggi messo quanto mai in discussione.  Oggi volevo fare il punto su una questione molto controversa relativa alla necessità, per l’Unione, di dotarsi di un esercito; andando a leggere il “Manifesto di Ventotene”, lo storico scritto elaborato da Altiero Spinelli e considerato oggi il documento fondativo dell’Unione, salta agli occhi il peso che il politico aveva dato alla costituzione di un “esercito europeo”:

per costituire un largo Stato federale, il quale disponga di una forza armata europea al posto degli eserciti nazionali, spazzi decisamente le autarchie economiche, spina dorsale dei regimi totalitari, abbia gli organi e i mezzi sufficienti per fare eseguire nei singoli Stati federali le sue deliberazioni, dirette a mantenere un ordine comune, pur lasciando agli Stati stessi l’autonomia che consente una plastica articolazione e lo sviluppo della vita politica secondo le peculiari caratteristiche dei vari popoli

A. Spinelli, Manifesto europeista redatto durante il confino di Ventotene

Salta agli occhi come uno dei principali principi dell’unione voluta da Spinelli sia proprio la costituzione di un esercito (permanente) formato da soldati provenienti da tutti gli Stati federali. Ci possiamo chiedere: a che pro? Personalmente sono sempre stato dell’idea che, progressivamente, gli eserciti dovrebbero scomparire o, al limite, essere utilizzati solo in missioni di pace e, come ultima ratio, in funzione difensiva. Purtroppo è lo stesso Spinelli a delineare le funzioni dell’esercito europeo:

per quanto non si possa dire pubblicamente, il fatto è che l’Europa per nascere ha bisogno di una forte tensione russo-americana, e non della distensione, così come per consolidarsi essa avrà bisogno  di una guerra contro l’Unione Sovietica, da saper fare al momento buono

in A. Spinelli, Diario Europeo (1948-1969), Il Mulino, 1989, p. 175

Link: L’Antidiplomatico

 

Un esercito, quindi, dai chiari propositi bellici! Ma può la guerra costituire un fondamento di un unione che dovrebbe avere come unico motivo d’essere la volontà di UNIRE i popoli sulla base di una forte e comune impronta morale e culturale?

Ci può essere d’aiuto, ancora una volta, il buon vecchio Kant (lo ammetto, ultimamente una delle mie letture preferite) con il suo terzo articolo preliminare per la Pace perpetua che recita:

«Gli eserciti permanenti (miles perpetuus) devono col tempo interamente scomparire».

«Essi, infatti, dovendo sempre mostrarsi pronti a combattere, rappresentano per gli altri una continua minaccia di guerra; li invitano a superarsi reciprocamente nella quantità di armamenti, al quale non c’è limite.

Dato poi che il costo di una simile pace viene ad essere più opprimente di quello di una breve guerra, tali eserciti permanenti sono essi stessi causa di guerre aggressive intraprese per liberarsi di un tal peso.

Inoltre, il fatto di assoldare uomini per uccidere o essere uccisi, pare proprio che sia usarli come semplici macchine o strumenti in mano altrui (lo Stato), e ciò non si concilia per nulla con il diritto dell’umanità insito nella nostra propria persona (1).

Ben diverso è il caso degli esercizi militari periodici e volontari dei cittadini, per garantire se stessi e la patria contro aggressioni esterne»

Immanuel Kant, Per la pace perpetua

La domanda, quindi, è la seguente: la UE, posto che continui sempre ad esistere, dovrà in futuro dotarsi di un esercito permanente?

Internet: più conoscenza nelle persone?

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Più ci rifletto e più mi convinco…all’enorme mole di “sapere” che circola in rete corrisponde anche un maggiore aumento di  vera conoscenza nelle persone? La mia risposta è, ultimamente, negativa. Troppo spesso in discussioni di vario tipo, ogni interlocutore porta a riprova del proprio punto di vista una citazione, un articolo di qualche “esperto del settore” che puntualmente dovrebbe portare al prevalere di un certo punto di vista a discapito dell’altro. La cosa angosciante è che la rete ha fatto letteralmente proliferare gli “esperti” in ogni settore dello scibile…alcuni sono, ovviamente, veri esperti ma altri non lo sono assolutamente e credo che stia diventando sempre più difficile riuscire a selezionare le informazioni, soprattutto per le persone con scarsa educazione (ma non solo). Assistiamo così a pareri di premi Nobel su temi di economia o diritto politico decisamente antitetici (ma com’è possibile, uno si chiede…dovrebbero essere d’accordo su valori OGGETTIVI), a interpretazioni storiche di politici che selezionano i fatti nascondendo accuratamente quelli che non sono convenienti all’impostazione che vogliono portare avanti…..ma come fa un “non esperto” a muoversi in questo mare infinito di opinioni e di informazioni?!? Oppure, perché quando una posizione di un “esperto” non piace, tale impostazione viene vista subito legata ad un non meglio precisato oscuro legame all’establishment?

Certo, tale libertà di informazione può essere, giustamente, vista come una grande opportunità per lo sviluppo del pensiero critico…ma tale pensiero deve essere prima educato per poi poter essere esercitato. Io credo che l’uomo medio, oggi, non sia  più in grado di discernere, in molti casi,  il vero dal falso. Ultimamente mi è anche capitato di leggere commenti pieni di entusiasmo per la diffusione nelle edicole del “Mein Kampf“di Hitler, per finire poi a trovare ulteriori commenti che magnificano le opinioni del Führer auspicandone la ripresa. Per questa tanto sbandierata “libertà di informazione/pensiero” si è arrivati a diffondere nelle case un’opera intrisa di ignoranza, populismo, demagogia e odio quando, fino a poco tempo fa, ad essere allegate ai giornali erano enciclopedie, classici della letteratura e della filosofia, opere da avere come bagaglio rappresentativo dei lati migliori dell’umanità, non di quelli peggiori.

Come risolvere i problemi qui appena accennati? Permettendo, ovviamente, una sempre maggiore diffusione del sapere attraverso le scuole. Bisogna riprendere decisamente in mano i programmi scolastici e approfondire davvero le discipline umanistiche. Solo aumentando le ore di Storia e materie affini sarà possibile allenare le menti alla scelta…una scelta consapevole basata sulla conoscenza dei fatti, nudi e crudi, spiegati poi con l’ausilio della filosofia. In fondo era questa la visione di un filosofo oggi un po’ dimenticato, Giambattista Vico con la sua Scienza Nuova, una perfetta fusione tra la Filologia (scienza del certo) e la Filosofia (scienza del vero).

La Filosofia contempla la ragione, onde viene la scienza del vero; la Filologia osserva l’autorità dell’umano arbitrio, onde viene la coscienza del certo. (Giambattista Vico, Scienza Nuova, Sez. II, X).

Rifacciamoci ai grandi classici, apriamo più libri e meno web!!!

Kant, riflessioni da “Per la pace perpetua”

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Immanuel_Kant_(painted_portrait)Ogni singola pagina della “Zu ewigen Friede” di Kant meriterebbe una profonda riflessione, tanta è la profondità concettuale che il filosofo di Königsberg riesce ad infondere ad ogni sua frase. Copio qui, per chi avrà il piacere di leggerli, alcuni estratti che secondo me meritano di essere condivisi, soprattutto di questi tempi segnati da intolleranza e sostanziale menefreghismo del ruolo che gli uomini dovrebbero avere nel mondo. I passi sono tratti dall’edizione Feltrinelli 2003, traduzione di R.Bordiga.

Sulla libertà:

“La libertà giuridica […] non può venire definita, come pure si fa di solito, come la facoltà di “fare tutto quello che si vuole, a patto che non si faccia torto a qualcuno” […] Non si fa torto a nessuno (si faccia pure ciò che si vuole) quando non si fa torto a nessuno. Si tratta così di una vuota tautologia. La mia libertà esterna deve essere definita piuttosto in questo modo: essa è la facoltà di obbedire a nessun altra legge esterna se non a quelle leggi a cui ho potuto dare il mio consenso”. (pp.  54-55).

Sulle feste di ringraziamento dopo una guerra:

“Le feste di ringraziamento che si fanno nel corso di una guerra per una vittoria in battaglia, gli inni che vengono cantati (nella buona tradizione israelita) al Signore degli Eserciti, formano con il Padre degli uomini un contrasto non meno profondo , poiché oltre all’indifferenza (già deplorabile) rispetto al modo in cui i popoli cercano il loro reciproco diritto, aggiungono la gioia di aver distrutto la vita o la felicità di tanti uomini” (p. 64).

Sul diritto di accoglienza e di visita:

“Qui, come negli articoli precedenti, non è in discussione la filantropia, ma il diritto, e allora ospitalità significa il diritto che uno straniero ha di non essere trattato come un nemico a causa del suo arrivo sulla terra di un altro. Questi può mandarlo via , se ciò non mette a repentaglio la sua vita, ma fino a quando sta pacificamente al suo posto non si deve agire verso di lui in senso ostile. Non è un diritto di accoglienza a cui lo straniero possa appellarsi […] ma un diritto di visita, che spetta a tutti gli uomini, il diritto di offrire la loro società in virtù del diritto della proprietà comune della superficie terrestre, sulla quale, in quanto sferica, gli uomini non possono disperdersi all’infinito, ma alla fine devono sopportare di stare l’uno a fianco dell’altro” (p. 65).

Sulla diversità delle religioni:

“La diversità delle religioni: che strana espressione! Come se si parlasse anche di diverse morali. Ci possono ben essere diverse forme di fede storiche non nella religione, ma nella storia dei mezzi usati per il suo avanzamento e che rientrano nel campo dell’erudizione, e così diversi libri di religione (lo Zendavesta, i Veda, il Corano ecc.) ma ci può essere soltanto un’unica religione valida per tutti gli uomini e per tutti i tempi. Quelle credenze non possono essere altro che il veicolo della religione, che è appunto casuale e può essere differente a seconda dei luoghi e dei tempi” (pp. 77-78).

Sulla federazione di pace (foedus pacificum)

“La ragione, dall’alto del trono del supremo potere che dà le leggi morali, condanna assolutamente la guerra come procedimento giuridico e fa invece dello stato di pace un dovere immediato, che però senza un patto reciproco tra gli Stati non può essere fondato o garantito: così deve necessariamente esserci una federazione di tipo particolare, che si può chiamare federazione di pace […]. Non è cosa impossibile immaginarci la realizzabilità (la realtà oggettiva) di questa idea di federazione, che si deve estendere progressivamente a tutti gli Stati e che conduce così alla pace perpetua” (pp.62-63).

Riflessione sulla felicità…

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EpicuroIl mondo contemporaneo mi appare troppo spesso slegato dalla risoluzione di quelli che dovrebbero essere, a mio avviso, i veri problemi dell’esistenza umana. Manca la riflessione sulla domanda forse centrale nella vita di ognuno: che cosa è la felicità? Che cosa mi rende felice? Il senso della vita umana, forse, va ricondotto proprio a questa domanda e al tentativo di darvi una risposta  universalmente valida.

Il testo della Dichiarazione di indipendenza degli Stati Uniti d’America, frutto di una ideologia tutta europea imperniata sui cardini dell’Illuminismo, rivendicava il “diritto alla ricerca della Felicità” come diritto inalienabile dell’uomo, assieme al “diritto alla Vita” e al “diritto alla Libertà”. E già in questa formulazione si può vedere come la felicità debba essere ricercata, scovata…essa può apparire nascosta, presentarsi sotto mentite spoglie ma va, per l’appunto, ricercata.

Se l’esistenza del singolo non passa attraverso questa fase di ricerca, tale esistenza è destinata ad una perpetua insoddisfazione e, soprattutto, da una forte mancanza di senso. La ricerca della felicità presuppone anche la ricerca di una meta, il tentativo di raggiungere un obiettivo. E se tali mete e obiettivi dovessero manifestarsi, infine, come lontani dalle nostre aspirazioni il cammino dovrà ricominciare e durare, forse, per tutta la vita.

Detto questo, che cosa ci rende felici? Non ho ancora una risposta definitiva e spesso mi pongo il problema…ma quando rifletto mi tornano sempre in mente le parole di Epicuro e le sue meravigliose riflessioni contenute nella “Lettera a Meneceo“.

Chiudo il post proprio lasciando aperta la riflessione personale sulla scorta di alcuni passi di Epicuro:

“Occorre dunque riflettere su cosa produce la felicità, se davvero, quando è presente, abbiamo tutto, mentre quando è assente facciamo di tutto per ottenerla” (122)

“Il saggio è colui che né ricerca il vivere né teme il non vivere, poiché né gli è avverso il vivere né reputa un male il non vivere” (126)

“Si deve pensare che dei desideri alcuni sono naturali, altri vani; e di quelli naturali alcuni necessari, altri soltanto naturali; e di quelli necessari alcuni lo sono per la felicità, altri per il benessere del fisico, altri per la vita stessa. Infatti una sicura conoscenza di questi sa ricondurre ogni scelta e rifiuto alla salute del corpo e alla tranquillità dell’anima” (127-128)

“Quando dunque diciamo che il piacere è il fine ultimo, non ci riferiamo ai piaceri dei dissoluti o a  quelli che si trovano nelle crapule, come ritengono alcuni che invero ignorano il nostro pensiero o non lo condividono o lo male interpretano, ma il non soffrire fisicamente e il non essere turbati spiritualmente” (131)

 

 

 

Il Cristianesimo delle origini_1

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Territori palestinesi – Il sito di Qumran

La lettura di un testo di Bart D. Ehrman, “I cristianesimi perduti”, mi ha portato ancora una volta a confrontarmi con il mondo del cristianesimo più antico, quel cristianesimo effettivamente “perduto” che spesso è legato alle pagine dimenticate dei vangeli apocrifi e a quelle sette che comunemente si definiscono “gnostiche”.

Ehrman è estremamente chiaro e preciso nella sua descrizione della società mediterranea vissuta tra il I e il III secolo e accompagna il lettore attraverso mirabili scoperte, come quella dei testi ritrovati a metà del secolo scorso a Nag Hammadi, in Egitto. Attraverso un vero e proprio excursus a 360° sulle ideologie e sui pensieri dei vari gruppi cristiani che si sono succeduti nel giro di qualche secolo, l’autore è in grado di stimolare nel lettore domande altrimenti sopite nell’intelletto e che ogni cristiano, a mio avviso,  dovrebbe porsi.

Quanti cosiddetti cristiani sanno, oggi, dell’esistenza di gruppi (cristiani) che rispondono al nome di Ebioniti, Marcioniti, Carpocraziani…..(l’elenco potrebbe continuare a lungo).Sanno i cristiani di oggi che il canone del Nuovo Testamento altro non è che il frutto di una lunga e complessa selezione di idee che ha portato alla ribalta alcuni dogmi a discapito di altri? Io credo che conoscere i problemi del primo cristianesimo sia un’operazione di grande impegno e serietà intellettuale perché ritengo che sia profondamente sbagliato credere senza sviluppare il senso critico. E per sviluppare tale senso bisogna studiare e fronteggiare idee e scoperte per certi versi anche sconvolgenti o, perlomeno, capaci di mettere in dubbio (e quindi vagliare) alcune credenze troppo spesso consolidate per pura consuetudine e abitudine.

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Israele – la sinagoga di Cafarnao

Nei prossimi tempi cercherò di dare continuità ad alcuni pensieri relativi a questi problemi. Per oggi vorrei sottolineare la grande differenza tra due interpretazioni fondamentali del messaggio di Gesù, quella degli Ebioniti e quella dei Marcioniti. Senza dilungarmi troppo vorrei sottolineare due aspetti: per gli Ebioniti Gesù è un continuatore della tradizione ebraica e quindi, per essere veri cristiani, bisogna essere innanzitutto veri e propri osservanti della Legge (rispetto del sabato, circoncisione…); per i seguaci di Marcione, invece, Gesù è una totale novità rispetto all’ebraismo e, pertanto, essere veri cristiani presuppone il completo abbandono della Legge e la fede nella salvezza operata dal Cristo. Come giustamente ricorda Ehrman, entrambe le due “sette” ritenevano di essere nel giusto e di seguire i corretti insegnamenti di Gesù, insegnamenti che, evidentemente, vennero interpretati fin dalle origini in modo molto diverso. Le due posizioni, qui solamente accennate, sono antitetiche! Quello che soprende è ritrovarle entrambe anche nel Nuovo Testamento, il canone frutto dell’azione dei gruppi “proto-ortodossi” che ritenevano le idee di Ebioniti e Marcioniti vere e proprie eresie.

Per fare un esempio, ecco una tipica impostazione ebionita: “Non pensate che io sia venuto ad abolire la Legge o i Profeti; non sono venuto per abolire ma per dare compimento […] Chi dunque trasgredirà uno solo di questi precetti, anche minimi, e insegnerà agli uomini a fare altrettanto,sarà considerato minimo nel regno dei cieli” (Matteo, 5.17-20).

Ecco invece un’impostazione marcionita: “Non rendo vana la grazie di Dio; se, infatti, la giustizia proviene dalla Legge, allora Cristo è morto per nulla” (Galati, 2.21).

Come si può vedere Matteo e Paolo impostano il ruolo di Gesù nel mondo in modo diametralmente opposto…ma la cosa non deve lasciare molto sorpresi visto che le posizioni sul problema erano spesso molto diverse. In Paolo, tra l’altro, sopravvivono echi di docetismo (teoria che vede Gesù come sola immagine corporea, una sorta di “fantasma” con corpo solamente apparente che fu tacciata di eresia dai primi proto-ortodossi come Tertulliano):  “Dio, avendo inviato il proprio Figlio in uno stato di affinità con la carne del peccato condannò il peccato nella carne” (Romani, 8.3).

Per adesso mi fermo qui…ma già questo primo esame di alcuni problemi relativi al primo cristianesimo dovrebbe indurre a pensare, dovrebbe far nascere una domanda spontanea, la domanda forse più importante di tutte: qual è stato il vero pensiero di Gesù?

Alla prossima puntata!

 

 

 

 

 

La “Buona scuola” e le scuole paritarie

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Ci stiamo sempre più avvicinando alle fasi finali del progetto “Buona scuola”, con le imminenti operazioni di trasferimento descritte nella tanto discussa legge 107/2015. Il progetto del governo, come è ormai risaputo, ha portato all’assunzione di numerosi insegnanti che da tempo “ristagnavano” nelle Graduatorie ad esaurimento (GAE) e che nel corso degli anni hanno lavorato con più o meno continuità anche grazie, come il sottoscritto, attraverso contratti di lavoro con Istituti paritari.

Ora, il complesso sistema di reclutamento degli insegnanti ha sempre previsto l’assegnazione di 12 punti annui al servizio prestato sia presso scuole statali, sia presso scuole paritarie. Non un punto in meno, non uno in più….Il punteggio così costituito è stato la base per le nomine in ruolo previste dalla legge 107 (che da questo punto di vista non pone differenze fra stato e privato). I nodi cominciano a venire al pettine solo con la mobilità che, per la prima volta nella storia della scuola italiana, che io sappia, diventa obbligatoria e coatta. E sì, perché adesso il calcolo del punteggio, valido ai fini dei trasferimenti, non tiene più in considerazione, nemmeno in parte, il punteggio prestato presso le scuole secondarie private. La cosa non ha assolutamente senso.

Mi hanno detto che il servizio non può essere considerato perché lo può essere solo quello che serve alla “ricostruzione di carriera”. Ma cosa vuol dire? Ho capito che lo Stato non vuole pagare gli “scatti di anzianità” dovuti in base agli anni prestati, in quanto chi ha lavorato nella paritaria è stato retribuito dalle private. Ma cosa c’entra tutto questo con la valutazione del servizio?  Come si può essere considerati con 0 punti di servizio, dopo 10 e passa anni prestati in una scuola che nel corso degli anni ha fatto mettere i punti nelle GAE e che ha “sfornato” diplomati in tutto e per tutto uguali ai diplomati nello Stato? E, ancora, come si possono non attribuire punti ai percorsi SSIS? Perché i sindacati non intervengono in quello che io vedo un vero e proprio “vuoto normativo”?

Mi si dirà anche che il servizio nelle paritarie non è mai stato contato per i trasferimenti…ma io rispondo a tale domanda con la semplice constatazione che, ad oggi, ogni assunto da GAE ha SEMPRE avuto la sicurezza di lavorare nella provincia di assunzione. Ora, invece, siamo stati assunti con un grosso punteggio che ci ha permesso di restare nella città espressa nella prima preferenza del piano di assunzioni straordinario e ci apprestiamo a doverci muovere in tutta Italia, perché quel punteggio non lo abbiamo più.

Sono indignato da questo sistema perverso.

Noi e loro….Us and them, Pink Floyd masterpiece

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La storia della musica è disseminata da canzoni bellissime. Ma per quanto mi sforzi di cercare non riesco a trovare una sintesi così perfetta tra musica e parole come quella presente nelle musiche dei Pink Floyd. O, forse, l’ascolto ormai più che ventennale delle loro canzoni si è ormai imposto nella mia psiche in modo indelebile facendo impallidire qualsiasi altro brano.

Tra i vari capolavori floydiani spicca “Us and them”, dal pluripremiato disco “The dark side of the moon”; credo che in ogni abitazione dovrebbe trovarsi una copia di questo disco; in effetti, quando entro in casa di qualcuno, sono portato a sbirciare tra i libri e i cd presenti negli scaffali….mi dicono molto sulla personalità e sul modo di pensare del loro proprietario…e trovare i Pink mi rende sempre molto soddisfatto.

Us & Them, capolavoro assoluto nato dalla perfetta sintesi dei testi di Roger Waters e dalla musica di quel genio che è stato Richard Wright. Note dolcissime intervallate da lampi di violenza inaudita….il tutto accompagnato da un testo che ci fa capire come ogni essere umano sia uguale all’altro e come inutilmente combatta inesorabilmente una battaglia segnata dal nonsenso, giorno dopo giorno, in un percorso ciclico di schopenhaueriana memoria.

Come riuscire a non amare questa musica?!?

TESTO:

Us and them

and after all we’re only ordinary men
me and you
God only knows it’s not what we would choose to do
forward he cried from the rear
and the front rank died
and the General sat, and the lines on the map
moved from side to side

Black and blue
and who knows which is which and who is who
up and down
and in the end it’s only round and round and round
haven’t you heard it’s a battle of words
the poster bearer cried
listen, son, said the man with the gun
there’s room for you inside

Down and out
it can’t be helped but there’s a lot of it about
with, without
and who’ll deny it’s what the fighting’s all about
out of the way, it’s a busy day
I’ve got things on my mind
for want of the price of tea and a slice
the old man died

 

 

Malta – Nel cuore del Mediterraneo

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La Valletta
La Valletta

Quest’anno le vacanze pasquali mi hanno portato nella bellissima isola di Malta, vero e proprio crocevia di culture e terra dalla storia antichissima. E’ ormai qualche tempo che mi sto appassionando alle culture megalitiche che sono comparse nel mondo, soprattutto a quelle nate nel bacino del “mare nostrum” e devo dire che Malta rappresenta un vero e proprio scrigno pieno di tesori.

Tra i templi più belli sicuramente sono da annoverarsi quello di Gigantija, nella vicina Gozo, e l’ipogeo di Hal Saflieni, entrambi patrimonio dell’Unesco. Soprattutto l’ipogeo rappresenta un vero e proprio unicum, almeno fino ad oggi, rappresentando il più antico tempio sotterraneo del mondo, costruito ben 3500 anni prima di Cristo. L’entrata al complesso funerario costa ben 30 euro ma devo dire che sono soldi ben spesi…l’emozione che si vive al suo interno è indescrivibile e purtroppo le foto e i filmati presenti sul web non aiutano ad immedesimarsi nell’esperienza unica; pitture di ocra rossa ancora presenti sul soffitto, il misterioso suono che si produce parlando nella sala dell’oracolo, le stanze realizzate per mezzo dell’architettura in negativo…sono tutti tasselli che descrivono una popolazione a mio avviso molto avanzata, molto di più rispetto a quello che tradizionalmente si pensa. Non bisogna per forza scomodare alieni o forze magiche ma di certo la nostra conoscenza dell’antico passato dell’uomo va ampiamente riletta e discussa senza strani dogmatismi.

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Io di fronte alle rovine posteriori del tempio di Gigantija, a Gozo

Malta non è solo preistoria ma tutti i periodi dello sviluppo dell’uomo nel tempo sono estremamente ben rappresentati. Come non citare la splendida Valletta, con la sua co-cattedrale dedicata a S. Giovanni Battista, patrono dell’Ordine dei Cavalieri di Malta. Al suo interno, tra l’altro, l’opera più grande di Caravaggio, la “Decollazione di S. Giovanni Battista”, con la firma dell’autore impressa nel sangue che esce dal collo del santo….

 

 

Caravaggio - La decollazione di San Giovanni
Caravaggio – La decollazione di San Giovanni

Come non citare poi la bellissima Mdina, città medievale toccata appena da un barocco austero e non invadente, Sliema, con il suo bellissimo lungomare, Senglea, con la torre di avvistamento dalla ricca simbologia.

Malta è ben percorribile, tra l’altro, con i bus alla modica cifra di circa 6 euro per un’intera settimana e anche il traghetto per Gozo costa solo 4,50 per le due tratte di andata e ritorno. Trasporti accessibilissimi, quindi, ma un poco particolari per quanto riguarda i tragitti…spesso, per fare anche pochi chilometri, ci si mette davvero tanto. Ma in fondo anche le attese e gli spostamenti  “rilassati” fanno parte della bellezza di una vacanza!

 

 

 

Tagliamo anche Filosofia, tagliamo il senso critico!

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gianniniUn nuovo ministro, appena insediato, e già fioccano provvedimenti estremamente dannosi per il mondo della scuola, sia per quanto riguarda l’apprendimento degli studenti sia per quello che concerne la vita di insegnanti che, ancora una volta, potrebbero veder diminuire considerevolmente il loro monte orario e, quindi, la fonte del proprio reddito.

E si, perché il nuovo ministro Giannini parla già di voler costruire un “liceo quadriennale”, senza aspettare nemmeno l’esito di una discussa sperimentazione messa in atto nell’attuale anno scolastico…forse non sa, il ministro, che tale “taglio di un anno”porterebbe alla riduzione da tre a due anni dell’insegnamento della Filosofia.

Ora, tutti gli ultimi tagli al mondo della scuola sembrano privilegiare una logica molto chiara: “eliminiamo materie umanistiche, eliminiamo la comparsa del senso critico, formiamo ragazzi “macchine” privi di pensiero…togliamo la Storia dell’Arte, eliminiamo il più possibile la Filosofia…domani togliamo pure Storia, perché tanto studiare il passato non ha senso, anzi, potrebbe far capire alla gente che noi, probabilmente, non abbiamo nemmeno il diritto di governare”…..io, in questi provvedimenti leggo, fra le righe, questi pensieri…..

Il danno è duplice e mi preme ricordare che non colpirebbe solo gli studenti. Ma partiamo da loro! I ragazzi vedrebbero tagliare di ben un anno il loro percorso di studi di Filosofia. Chi è docente di tale materia sa bene che tre anni non bastano nemmeno lontanamente a rendere giustizia ad un programma infinito, denso di saperi e di pensieri sul reale che letteralmente possono davvero “aprire la mente” degli adolescenti, portandoli a PENSARE, a leggere il mondo con maggiore SENSO CRITICO, scoprendo e scindendo il VERO dal FALSO, ampliando anche il SAPERE LOGICO. Tutto questo, e molto molto altro è la Filosofia. Perché privare gli adolescenti di questi saperi? Quando, nella vita, potranno confrontarsi con i pensieri di PLATONE, scoprendo in un uomo del IV secolo a. C. un loro “contemporaneo” con il quale dialogare apertamente? Quando potranno confrontarsi col pensiero di tutti i grandi pensatori del passato? All’università? Ma in quanti sceglieranno “Lettere e Filosofia” come facoltà?

Parliamo poi dei docenti di Filosofia e Storia, che già nel passato hanno visto ridurre il loro monte ore a danno di altre materie….come completeranno il loro orario settimanale? Ovviamente dovendo scindersi su ancora più classi, eliminando ancora di più la possibilità per l’esercito di precari di accedere all’insegnamento!!! Ma a chi importa se degli insegnanti non potranno arrivare a fine mese? Tanto vivono di pensiero, evidentemente….forse nella mente del ministro altro non siamo che asceti che hanno scelto di abbandonare la “volontà di vivere”….

Ma perché in Italia i ministri non riescono ad avere un pensiero globale, a 360 gradi? Forse hanno studiato poca Filosofia, è chiaro!